Non lo sanno. Alcuni non lo sanno, altri lo immaginano, cosa accadrà nella mia città. Mi hanno detto che le strade sono decorate a festa, che le persone sono felici, che i balconi sono colorati di rosso e di nero, e tra le vie del centro si respira aria di rinascita, oltre che profumi di sapori deliziosi. Perchè quello che sta accadendo forse è in parte anche una metafora.
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“Le cose d’ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare ed ascoltare”
Questo il celebre inizio della celebre canzone composta da Gianni Rodari e Sergio Endrigo: “Ci vuole un fiore”. E questo anche il magnifico segreto per poter fare, inventare o ascoltare storie. Perchè ogni cosa attorno a noi, che sia un oggetto o una persona, cela dietro di sé un racconto, bello o brutto che sia.
Oggi la storia che voglio narrarvi è la storia della mia nuova libreria.
Per fare una libreria ci vogliono le cassette della frutta, per ricevere le cassette della frutta ci vuole gentilezza e per metterle insieme ci vogliono pazienza, allegria e di nuovo gentilezza. Perché la storia della mia libreria non parla soltanto di cinque cassette della frutta dipinte e assemblate, questa parla del fruttivendolo del mercato Trionfale e dell’altro nell’omonima via, il primo mi ha con gentilezza riservato le cassette e insegnato a portarle, vedendomi in difficoltà, nella maniera più semplice possibile. Il secondo mi ha regalato la sesta cassetta, togliendo dal suo interno le mele per metterle altrove. Questa non la vedrete per intero poiché ha ceduto le sue parti per far sì che tutte le altre stessero in equilibrio e raggiungessero la stessa altezza.
Quando ho portato a casa il “legno” ero felice, era stata una giornata piena di gratitudine, piena di “grazie mille”. Quei ragazzi mi hanno regalato la gentilezza e la generosità.
C’è uno sport, nobile e antico. Uno sport che mi piace paragonare alla danza classica, e i miei studi mi confermano che un paragone simile non è un azzardo. E’ uno sport che si avvicina all’arte, che elegantemente si inchina a te e poi si congeda. C’è uno sport che mi ha insegnato il significato del fair play, che non guarda lo stemma sulla tuta o il cognome sul tabellone.
C’è uno sport che mi ha insegnato che una palestra può diventare una casa, e una squadra può diventare una famiglia, anche quando si lotta individualmente. Ed è questo il suo punto di forza, l’individualità all’interno di una grande squadra, che ti sostiene anche quando per te il gioco si è già concluso.
Per circa un anno e mezzo, tutte le volte che ho preso un treno a Roma Termini, i miei occhi si sono posati su una coppia di “senzatetto”, un uomo e una donna. Probabilmente dell’est.
Erano sempre lì.
Ad ogni mia partenza il mio sguardo incontrava quello della donna bionda e passavamo minuti a guardarci e a cercare di parlarci, senza dire niente, attraverso un vetro. Forse lei era soltanto infastidita, forse invadevo la sua privacy, forse le mancavo di rispetto. Ma per me, lei e il suo compagno, erano poesia. Ed è per questo che li guardavo come si guarda un’opera d’arte.
Tra le prime luci del mattino e la pioggia scrosciante mi ritrovo a pensare a quell’antico sentimento, narrato da poeti e scrittori, portato tra i mari e in battaglia, cantato nei madrigali e a Sanremo.
Penso a chi troppo spesso e troppo in fretta si lascia travolgere da tutte le emozioni che quel Sentimento porta con sé, e a chi invece è alla ricerca di razionalità.
Penso a chi prende e a chi lascia. A chi si bacia e a chi piange.
Penso alla distanza, ai chilometri e ai sogni.
Penso a chi arriva e a chi parte.
Ed è a queste persone che dico: innamoratevi!