Roma – Foggia. 28 gennaio 2016
Vive a Foggia, la giovanissima Claudia Amatruda, 20 anni, tanta passione per la fotografia e un recente primo posto ad un concorso nazionale di fotografia indetto a Modena da “Il resto del Carlino”.
Ci incontriamo su Skype e con un allegro e contagioso sorriso mi saluta, avvolta dalle sue grandi cuffie dorate. Facciamo qualche prova tecnica e decido di chiudere il mio video, per sentirla meglio, senza interruzioni, per via della connessione. Il suo riquadro però rimane acceso, in questo modo posso osservare ogni sua espressione e collegarla ad ogni sua frase.
“E’ partito.
Apposto, vai!
Ti sto intervistando perché ritengo tu sia un giovane talento della città di Foggia. Infatti hai vinto il primo premio della VI edizione del concorso fotografico nazionale, organizzato a Modena, dal quotidiano “Il resto del Carlino” e dalla “Banca popolare dell’Emilia Romagna”. Il tema di questo concorso era “Pane, amore e fantasia” e hai vinto con la tua fotografia intitolata “Il gusto della vita”.
Lo giudichi uno dei tuoi migliori scatti? Che poesia hai trovato nella foto?
Ok… si sente la mia voce strana?
Non è strana, attenta a tutto quello che dici, potrei riportarlo!
(ride ndr) Questo concorso è organizzato a Modena, ho trovato questo bando di concorso online e ho deciso di partecipare a due giorni dalla chiusura. Molto velocemente dovevo farmi venire un’idea, che però non arrivava e ho aspettato che arrivasse questo lampo di genio, ma niente. Ho pensato a tutto ciò che potevo associare al cibo, pur di non fare qualcosa di troppo scontato. E così, una sera, ero a letto, avevo fame, sono scesa dalle scale (quelle del letto a castello), sono andata in cucina e mi è venuta l’idea. Ho aperto il frigorifero e ho pensato a quante volte il frigorifero ha guardato noi. L’ispirazione mi è venuta così, ho pensato di mettere la fotocamera in frigo e partire da questo. Ho appuntato velocemente l’idea su un foglio e sono tornata a letto. Il giorno dopo ho provato più volte a ricreare quello che avevo in mente. Inizialmente non usciva, poi dopo un po’ di prove, sera, mattina, sono stata soddisfatta di uno scatto soltanto.
Lo giudichi uno dei tuoi migliori scatti o ti piace di più l’idea?
L’idea mi è piaciuta tanto, mi sono divertita nel realizzarla, a pensare come mettere gli ingredienti, l’autoscatto che non usciva, io che non potevo guardare la mia espressione come sarebbe uscita, è stato molto.. come posso dire, boh, non mi viene l’espressione! E’ stato divertente perché sembravo un po’ una scema nel fare facce di fronte alla macchinetta e non poterle controllare.
Hai trovato una poesia in questo scatto…
Un’ispirazione. Me l’ha data il frigorifero!
Tu pensi ci sia ancora poesia in questo mondo, in quello che vedi? La poesia che poi diventa scatto? Dove specialmente?
Esatto, brava. Io riesco a vedere la poesia nelle persone oppure nei luoghi, nonostante ci siano dei luoghi non oggettivamente belli, ci può essere della poesia anche in un dettaglio veramente piccolo. Ed è questo che cerco: la bellezza nelle piccole cose. Attraverso l’obiettivo, la fotocamera, riesco a vedere, non so come, quei dettagli che a occhio nudo non vedo.
Quanto conta, quindi, la tecnica fotografica di fronte alla bellezza del mondo?
Ci sono diverse scuole di pensiero. Penso che un po’ di tecnica serva, per rappresentare l’idea che hai in mente, devi sapere che la foto va scattata in un certo modo piuttosto che in un altro. Altrimenti sì, è bello rappresentare quello che vedi, ma se non hai la tecnica giusta per rappresentarla può uscire una foto che non ha alcun significato. Farsi guidare dall’istinto a volte, però, serve più della tecnica.
Infatti la prossima domanda è: quanto è spontanea una fotografia? Ad esempio, nel teatro sappiamo che l’improvvisazione non è mai una vera e propria improvvisazione, c’è sempre uno studio dietro…
Dipende, dipende da quello che vuoi rappresentare. Se parti da un’idea che hai costruito a casa come, ad esempio nel mio caso, la foto nel frigo, l’idea di base non è spontanea ma programmata. Se un giorno decidi di uscire, per esempio, con l’intenzione di fotografare, non sai quello che può capitare. E in quel caso sì, è spontanea.
Un esempio di processo creativo di una foto che hai fatto all’istante? Come, ad esempio, la foto che hai scattato a Milano dal titolo “Unknown” che ritrae una ragazza seduta in un bar. Il tuo occhio fotografico come ha preceduto l’obiettivo? Come ha fatto l’occhio a posarsi su di lei, e perché?
Quella mattina, ero con Valerio e Domenico (in ordine fidanzato e amico ndr), passeggiavamo e abbiamo visitato la galleria. Io ero sempre un po’ indietro rispetto a loro due, perché loro andavano avanti, io invece avevo bisogno di fermarmi e vedere le cose che mi circondavano. Ho guardato all’interno del ristorante, attraverso il vetro, e le cose attraverso i vetri mi affascinano molto perché c’è una separazione tra me e l’oggetto che è dall’altra parte. Che può essere un ristorante, un bar. Quindi ho guardato lì e ho trovato questa ragazza assorta nei pensieri, non guardava neanche me. Aveva uno sguardo estraniato. L’ho guardata per un po’, è stato un attimo perché i ragazzi camminavano avanti e dovevo raggiungerli, è stato un attimo e ho scattato, lei si è girata e si è accorta che stavo scattando la foto e ha guardato dritto nell’obiettivo con un’espressione non molto contenta, forse perché assorta nei pensieri, forse perché non voleva essere fotografata, può darsi. Quindi sono stata colpita da questo e riguardando la foto ho fantasticato sulla storia che potesse avere questa ragazza, che non era sola, di fronte a lei c’era una tazzina, forse di caffè, e affianco una guida turistica del Duomo, in inglese. E ho pensato un po’ alla storia. Ho provato a cercarla ma non è stata condivisa molto su fb.
Magari quest’intervista arriva alla diretta interessata, per la teoria dei 7 gradi di separazione…
Un altro esempio di storia dietro qualche altra foto che ricordi particolarmente?
La foto con un signore appoggiato alla ringhiera. L’ho postata su fb aprendo un dibattito e chiedendo se stesse guardando me o il mare. Perché c’era tutta una zona d’ombra e non si riusciva a capire cosa stesse guardando il signore ritratto. Ed è stato interessante vedere cosa pensasse la gente. Molti hanno detto che guardava verso il mare, forse spinti dalla poesia che suscitava la foto. Mentre i fotografi tecnici, che hanno commentato, hanno subito capito che il soggetto stesse guardando me.
Poi c’è la foto che ho fatto a Vieste con un omino illuminato da una luce gialla e tutto il resto è nella penombra del tramonto, fatta molto velocemente mentre passava il passante.
Un’altra foto che ho visto e mi ha colpito è una foto scattata sempre a Vieste, con il paese e due suore. Le hai notate dopo? Il tuo scopo era fare la foto con loro o avresti preferito farne una soltanto del panorama?
Le suore mi interessavano e cercavo un modo per renderle interessanti. Dato che non potevo andare vicino, sono scesa un po’ giù così che loro pensassero che stessi fotografando il panorama, invece ho incluso anche loro mentre parlavano. M’interessava questo contrasto tra la città turistica (e quindi le persone che fanno la foto alla località turistica) e loro che sono lì tutti i giorni perché affianco “alla foto” c’è una chiesa, diciamo (dico troppe volte diciamo!) e quindi queste suore ci sono sempre, in inverno, estate, aldilà dei turisti. Il significato che volevo dare è questo: di ordinarietà. Non solo della cittadina turistica di Vieste.
Chi identifichi come tuo maestro di fotografia? T’ispiri a qualcuno?
Ce ne sono tanti, i principali sono Steve Mcurry e Sebastiao Salgado. Poi ce ne sono altri, molti. Li studio un po’ tutti perché m’interessa conoscere il loro punto di vista, determinate inquadrature. Anche la loro storia dietro i loro scatti. Come ad esempio anche Vivian Maier, Paolo Pellegrin, Robert Capa. Ma anche giovani talenti italiani molto bravi nei ritratti come Alessio Albi, Anna Di Prospero e ce ne sono molti.
La tua prima macchina fotografica? La conservi ancora?
A parte una compatta dei miei genitori che usavo per fare le foto alle loro mostre, perché loro dipingono. Andavano in giro per mostre e io facevo le foto, a 13 anni. Poi si è sviluppata sempre di più la passione e dopo un anno e mezzo ho avuto la prima reflex, una Canon 450D, questa proprio la prima. Sei anni fa.
Le tue prime foto?
Non me ne piace neanche una! Foto di panorami, comunque.
La tua opera preferita?
Scontatissima Sharbat Gula di Steve McCurry. Poi c’è un’opera di scultura che mi piace tantissimo: Il ratto di Proserpina del Bernini.
Come fotografie.. non sono preparata, perché ce ne sono così tante che mi piacciono! Se ti dovessi dire una preferita in assoluto non ci riuscirei, perché quelle dei grandi sono tutte straordinarie! (portando le mani sul volto ndr)
Qual è lo scopo di uno scatto? E la sfida più grande?
La sfida più grande è fotografare ciò che avevi in mente ma nello stesso tempo riuscire a coniugare l’idea che hai tu e quello che in quel momento ti suggerisce l’emozione. Alla fine una foto per essere valida, oltre che essere valida tecnicamente, deve appunto riuscire ad emozionare chi la guarda, provocare un ragionamento e una riflessione. Questo è l’obiettivo principale: una riflessione ed emozionarsi. E a chi la guarda, importa poco della tecnica. Specialmente se non sei del campo, la tecnica t’interessa fino ad un certo punto. Se una foto emoziona, suscita qualcosa, per me, è valida. O se ti rimane dentro, ad esempio Sharbat Gula, nessuno la dimentica e una volta che qualcosa ti colpisce è difficile cancellarla o dimenticarla. Quello è il mio obiettivo e sono ancora lontana…
Posso smentire quest’affermazione dal momento che tanti tuoi scatti mi hanno non solo emozionata, ma conservo dentro di me. Vorrei essere imparziale in questo momento ma davanti all’arte e alla bravura è difficile esserlo!
Prima di arrivare alla foto giusta, quanti scatti fai, di solito?
Ci vuole anche fortuna negli scatti, la fortuna aiuta gli audaci, chi prova, ad esempio una persona che passa nel momento in cui vuoi fare una foto, non sempre è un elemento di disturbo ma anzi può essere un arricchimento. Ho dimenticato la domanda. Ah, sì (ride ndr), mi perdo!
Ci sono volte in cui me ne basta uno, due, e riesco a rappresentare quello che volevo. A volte fai dieci, dodici foto ma non ne esce neanche una e a quel punto chiudi tutto e dici: basta via! (ride ndr) Ci sono momenti di crisi, in cui non ne va bene neanche una! Le elimino e mi ritrovo senza materiale o ci sono situazioni in cui avrei voluto fotografare ma mi sono persa il momento. Ci sono un sacco di scatti che ho in mente e che avrei voluto fare!
Per quanto riguarda il futuro, hai mai pensato di voler lavorare nell’ambito giornalistico? Fotogiornalismo?
L’ambito futuro è un tabù per me, quindi non lo so. Mi balenano tante idee in testa al momento. Il fotogiornalismo mi affascina ma non so ancora fino a che punto. Mi piace sperimentare tutti i generi, infatti non ho trovato un mio stile preciso. Passo da foto promozionali, pubblicitarie, di occhiali a.. faccio di tutto, davvero.. paesaggio, ritratto, foto street. Devo studiare e imparare molto, non so ancora dove specializzarmi, sono ancora più sul generale che sulla specialistica. Il futuro per ora è una nube di fumo nero!
Dove ti saresti voluta trovare per scattare una foto? In quale evento? Anche quando non eri ancora nata…
World Trade Center. L’11 settembre. Sarebbe stata una cosa credo.. atroce! In quel caso avrei seguito Steve McCurry dato che lui è entrato nelle torri. Poi l’avvenimento più recente, gli attentati a Parigi. Molti fotografi si trovavano lì perché erano per la settimana della fotografia. Più che fotografare l’atto in sè, l’attentato, fotografare la gente che in quei giorni ha vissuto attimi di terrore, fotografare l’anima delle persone per capire come si sentivano. Sarebbe stata una situazione molto molto… da andare con i piedi di piombo.
Poi la costruzione della Torre Eiffel o della Statua della Libertà.
Steve McCurry in un’intervista ha detto che, cito: “vorrei un mondo in cui le persone interagiscono con la loro storia nelle loro strade” , questo perché molto spesso fotografa persone che passeggiano. Sulla scia di questa risposta, tu dove trovi le tue storie? Ho visto che nelle tue foto c’è molto mare e prevalgono tre colori: il blu, il rosso e il giallo. Anche quando non si tratta di tramonti.
(ride ndr) Innanzitutto sono di parte perché il blu è il mio colore preferito e lo inserisco anche nelle foto. Il giallo è un colore allegro, un colore che ti colpisce, come il sole. Dà un tocco di calore.. giallo, arancione, rosso. In alcuni casi il blu è troppo freddo e il giallo e il rosso contrastano questa freddo. Cerco di inserire queste temperature sia per contrasto sia per complementarietà.
Qual era la domanda originale? Perché dimentico le domande? (ride ndr)
Trovi le tue storie nel mare?
C’è una calamita tra me e il mare. La situazione romantica per eccellenza, di riflessione, il flusso di pensieri che va, e quindi è normale che m’ispiri molto,
essendo un soggetto sensibile, troppo anzi. Poi la storia delle persone, mi piace riprenderle nei loro occhi, nelle loro espressioni, nei loro gesti quotidiani. Infatti, per esempio, fotografo spesso persone che svolgono le loro azioni quotidiane come il pescatore che serve il pesce o mia madre che dipinge. Mi piace il ritratto ambientato, il soggetto non deve essere da solo ma con un oggetto che lo rappresenti, con la sua storia, per quello che fa. Non può essere soltanto “ritratto del volto”, che sì può parlare, ma fino ad un certo punto. Vorrei sperimentare questo nei miei scatti, mi sono avviata ora ma la strada è ancora molto lunga.
Viaggi?
Viaggio.
Mi piace moltissimo viaggiare ma non posso farlo sempre. Ho girato abbastanza l’Italia, specialmente nell’ultimo anno, viaggi fugaci ma interessanti dal punto di vista fotografico, anche città in cui pensavo di non poter trovare nulla, come ad esempio Pavia o Isernia. Si possono rivelare luoghi in cui puoi trovare qualcosa. Ho trovato, ad esempio, un santuario sperduto su una collina ad Isernia ed è stato improvviso e quando scopri cose di cui non sapevi l’esistenza è ancora più interessante di andare lì con uno scopo.
Quindi sei più viaggiatrice che turista…
Sì, viaggiatrice. Nessuna meta va sottovalutata. Anche la nostra Puglia ha un sacco di borghi e paesini interessanti dal punto di vista fotografico.
Preferiti gli scatti di notte o di giorno?
Bella domanda. Le ore migliori per fotografare sono la mattina presto, dall’alba alle 9, massimo 9.30. Le ore centrali sono brutte per fotografare, dalle 12 alle 13, perché il sole fa strane luci e strane ombre sui soggetti. E’ complicato fotografare durante quelle ore, non le preferisco tantissimo. Le prime ore del pomeriggio sono belle, dalle 15.30 al tramonto. Poi la sera, la sera è bello fotografare ma allo stesso tempo è difficile, perché le luci sono di meno, hai bisogno di un cavalletto, perché senza è difficile, con i tempi lunghi ti vengono mosse. E poi c’è quella strana luce gialla in città, difficile da postprodurre dopo con photoshop! A meno che non vai lontano dalle luci della città, ad esempio mi piace fotografare molto la luna e in quel caso sì non ci sono luci “gialle” e la notte dà il suo effetto di tenebre.
Ringrazi qualcuno per la tua passione?
Devo ringraziare papà e mamma, mi hanno finanziato a metà la macchinetta all’inizio e mi hanno sempre spinta nelle mie passioni, per approfondirle, studiarle, anche perché respirando aria artistica.. non si può dire aria artistica.. diciamo, respirando l’odore dei colori a casa, leggendo libri sull’arte, andando alle mostre, mi sono appassionata a questo e loro mi hanno capita sin dall’inizio.
Ci sono, poi, le persone intorno a me, i miei amici, persone che credono in quello che faccio, mi spingono e mi aiutano a realizzare scatti. Fotografare da soli è bello, ma non sempre riesci, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti, che sia dal semplice mantenere la macchina fotografica al prestare la propria persona per lo scatto. Quindi non sempre si riesce a fare tutto da soli. Sono circondata da persone che mi aiutano, sono molto fortunata.
L’augurio che ti fai?
A me? Questa è difficile! Mi auguro di poter studiare, andare avanti e realizzare tutti i progetti che ho in mente con la stessa passione che avevo all’inizio. E mi auguro che questa passione cresca ogni giorno, perché senza di quella è difficile. Mi auguro di non perdere la pazienza, ci sono volte in cui mi arrabbio tanto e non riesco a realizzare quello che vorrei. E mi auguro anche di fare delle mostre. In Italia e fuori, realizzare qualcosa di importante per cui riesca ad emergere un po’ nel mondo nella fotografia.
(A registratore spento e intervista finita, con tanta ammirabile umiltà e un sorriso sulle labbra, aggiunge…)
Quando sono stata premiata, il fotografo Nino Migliori, che faceva parte della commissione, mi ha salutata e prima di andar via mi ha detto che secondo lui avrei dovuto lasciare tutti gli studi e dedicarmi solamente alla fotografia.”
Maria Elena Marsico
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