di MARIA ELENA MARSICO
L’11 settembre 2001 sono una bambina, ho otto anni. Ma quel giorno, io e i miei coetanei scopriamo il mondo degli adulti, le guerre lette e raccontate soltanto nei libri di scuola, i morti, la paura. Senza filtri, senza censure.
Quel giorno sono a Disneyland Paris con i miei genitori e mio fratello, più piccolo di me di due anni. È una giornata come tutte le altre, il cielo plumbeo di un settembre parigino, ma senza pioggia, e un freddo inaspettato. Le attrazioni del parco divertimenti sono tutte in funzione e lo sarebbero state sempre, anche dopo l’attentato al World Trade Center. Nessuna evacuazione.
Ricordo una giornata strana. C’è qualcosa nell’aria ma non immaginiamo cosa. Si avverte un tempo sospeso. Il perché di quella sensazione lo scopriamo all’uscita.
“Sono cadute le due torri a New York? Arrivo”. Sento queste parole, pronunciate da un italiano, all’uscita del parco. I controlli di sicurezza sono aumentati, c’è più polizia. A quel punto chiedo a mio padre “Cosa sono le due torri?”. I miei genitori, allarmati, chiamano in Italia per avere informazioni. Il World Trade Center non esiste più. C’è stato un attentato.
Quando torniamo in albergo la tv satellitare ci permette di vedere Rai 1, lo speciale di Porta a Porta, e i notiziari di tutto il mondo. Ricordo le immagini dello schianto del secondo aereo, le fiamme, il crollo. I telegiornali di qualsiasi nazione mostrano le stesse cose. Per i miei genitori non è facile spiegarci cosa sia accaduto perché è uno shock anche per loro. Lo è anche per mio padre appena rientrato dal Kosovo e che conosce bene i teatri di guerra per il lavoro che fa.
Nei giorni seguenti Disneyland Paris non è più l’immagine della felicità. Ci sono soldati, tanti poliziotti e molti controlli, ci perquisiscono ogni volta che entriamo. C’è un prima e un dopo che potrei disegnare per quanto diversi e palesi siano.
Passano pochi giorni, torno a scuola e la maestra chiede alla classe di fare un cartellone sull’11 settembre. Dobbiamo scegliere le immagini più significative per noi. Sono tante le foto che vorrei incollare e che ritaglio minuziosamente. Ma ce n’è una che non riesco a smettere di guardare chiedendomi “Chi è”. L’iconica foto di Richard Drew che ritrae “The Falling man”, l’uomo che si getta nel vuoto per fuggire dalla tragedia. Quella foto, però, è troppo drammatica per dei bambini e la maestra sceglie di non metterla. Dopo vent’anni penso ancora all’importanza di quel cartellone.
Le parole di quello sconosciuto all’uscita del parco segnano, nei miei ricordi, l’inizio di un incubo nel quale è caduto tutto il mondo, compresa la mia generazione: i bambini del 2001, figli degli anni Novanta. Quelli che non conoscono le guerre, non conoscono bene o affatto la realtà del Medio Oriente o dei Balcani.
In quegli anni, ogni volta che sento un aereo decollare dall’aeroporto militare della mia città, mi nascondo sotto la scrivania perché mi sembra il posto più sicuro. Niente è più come prima. Neanche per noi, allora, bambini.